giovedì 3 gennaio 2013

TFR e solidarietà

Il calcolo del TFR e responsabilità solidale negli appalti

Temistocle Bussino


La responsabilità solidale negli appalti, come è noto, è stata estesa anche al Trattamento di fine rapporto. Molti Contratti Collettivi Nazionali elencano le voci retributive su cui calcolare il TFR, altri e importanti contratti , invece, rinviano al Codice Civile le voci retributive da prendere come base di calcolo. La retribuzione annua da prendere a riferimento per il calcolo del TFR (ossia l’imponibile TFR) è indicata dal comma 2 dell’art. 2120 del codice civile il quale dispone che : “Salvo diversa previsione dei contratti collettivi la retribuzione annua, ai fini del comma precedente (ossia il computo del TFR dividendo la retribuzione annua per 13,5), comprende tutte le somme, compreso l’equivalente delle prestazioni in natura, corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro, a titolo non occasionale e con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”.

Il presente contributo vuole illustrare i principi attraverso i quali gli Ispettori dovranno, nel caso, calcolare il TFR da addebitare al Committente o all’Appaltatore nell’ipotesi di verifiche legate alla responsabilità solidale.

Responsabilità solidale e TFR

La responsabilità solidale in materia di appalto è disciplinata , soprattutto, dalla riscrittura dell’art. 29 comma 2 e 3 ter del D.Lgs. 276/2003. Il committente imprenditore o datore di lavoro, è obbligato in solido con l’appaltatore nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote del TFR, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti per il periodo di esecuzione dell’appalto. Per quanto concerne il TFR, la Circolare n. 2/2012 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 16/02/2012 chiarisce che tale solidarietà comprende, quanto al profilo retributivo, solamente le quote del TFR, e non l’intero ammontare. L'appaltatore (o il committente) non risponderà quindi dell'intera quota di TFR che il dipendente del subappaltatore (o dell'appaltatore) abbia maturato durante il periodo del subappalto (o dell'appalto) e di cui chieda la corresponsione. Sempre il Ministero del Lavoro ( e poi l’Inps) ha altresì precisato che, il riferimento al limite dei due anni è riferito all’appalto esistente tra committente ed appaltatore, e quindi al contratto di appalto stipulato tra tali soggetti. Tale limite costituisce un termine di decadenza che opera con riferimento all'esercizio dell'azione non solo da parte del lavoratore, che risulta essere creditore delle somme dovute a titolo di retribuzione, ma anche da parte degli Istituti previdenziali, creditori delle somme dovute a titolo di contributi. Da ciò si evince che, il termine decadenziale di due anni si riferisce all'azione dell'Istituto di Previdenza nei confronti del responsabile solidale, mentre resta operativa l'ordinaria prescrizione quinquennale prevista per il recupero contributivo nei confronti del datore di lavoro inadempiente (appaltatore o eventuale subappaltatore).

La disciplina del Tfr e la base imponibile ai fini del calcolo.

Fa da sfondo all’intervento ispettivo in materia di Tfr la disciplina legale di questa indennità, contenuta negli artt. 2120 e seguenti del c.c., e oggetto di interpretazione di numerose sentenze della Cassazione e della Corte Costituzionale che si sono succedute negli anni..

La struttura.

E’ il comma 1 dell’art. 2120 c.c. che contiene disposizioni inderogabili dalle parti che non ammettono nessuna discrezionalità:

· il datore di lavoro ha l’obbligo di corrispondere il Tfr all’atto della cessazione del rapporto di lavoro, appena sia in possesso dei dati per il calcolo

· se nell’anno in corso vengono riconosciuti elementi utili al Tfr riguardanti anni passati , questi elementi vanno considerati di competenza del passato ed va ricalcolato tanto il Tfr dell’anno o degli anni di pertinenza quanto il Tfr degli anni successivi

· le frazioni di mese inferiori a 15 giorni vanno calcolate per i giorni effettivi.

La nozione di retribuzione onnicomprensiva e contrattuale

Quando si calcola il Tfr da trasferire alla previdenza complementare o al Fondo per il Tfr, occorre verificare se c’è un contratto collettivo e se questo contiene gli elementi da includere nella retribuzione utile. Se è così va applicato il contratto collettivo, altrimenti si ricorre alla definizione legale. Infatti, il comma 2 dell’art. 2120 dispone : “salva diversa previsione dei contratti collettivi…..” e conseguentemente la volontà della contrattazione prevale sulla definizione legale. Si sottolinea che la deroga è consentita soltanto alla contrattazione collettiva, anche aziendale, ma non ai patti individuali. I contratti collettivi possono includere elementi della retribuzione che sarebbero esclusi dalla retribuzione onnicomprensiva ( esempio straordinario occasionale) ed escludere elementi che vi sarebbero inclusi ( esempio straordinario continuativo).

La retribuzione legale utile al Tfr, retribuzione onnicomprensiva, comprende tutte gli emolumenti erogati in dipendenza del rapporto di lavoro – compresi quelli ai quali non corrisponde una prestazione lavorativa (esempio gratifica di bilancio, ferie, indennità di preavviso), con esclusione dei compensi occasionali e dei rimborsi spese. L’occasionalità è propria di quei compensi – fortuiti, imprevedibili – che non trovano riscontro nella abituale prestazione lavorativa. La sporadicità con cui tali gli emolumenti vengono erogati può essere talvolta un segno del loro carattere occasionale.

Dipendenza dal rapporto di lavoro

La dipendenza dal rapporto di lavoro è un elemento facilmente verificabile. Tutte le somme che il lavoratore dipendente riceve per la prestazione svolta o per altre motivazioni comunque conseguenti all'instaurazione del rapporto di lavoro rientrano, se corrisposte in forma non occasionale, nella retribuzione utile ai fini del TFR. Lo stesso Ministero del lavoro (nota 3.10.2008, Prot. 25/I/0013424), in merito, ha infatti precisato che: "... il concetto di retribuzione formulato nella norma rientra, per orientamento costante della giurisprudenza, nel criterio della onnicomprensività, da intendersi nel senso che nel relativo calcolo vanno inclusi tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi, ancorché non strettamente correlati con la effettiva prestazione lavorativa. Sono invece esclusi dal calcolo quelle somme rispetto alle quali il rapporto di lavoro si pone come una mera occasione contingente per la relativa fruizione, quand'anche essa trovi la sua radice in un rapporto obbligatorio diverso ancorché collaterale e collegato al rapporto di lavoro stesso (cfr. Cass. 21.3.1990, n. 2328; 21.11.1998, n. 11815; 22.6.2000, n. 8496)".

Requisito della continuità

Più difficile appare invece l'individuazione di quelle erogazioni che soddisfano il requisito della continuatività, in quanto il confine con l'occasionalità non appare spesso ben delineato. In molte situazioni è l'accordo tra le parti (ad esempio nel caso di importi erogati a titolo di ad personam ovvero di merito) a far luce fin da subito sulla rilevanza o meno di quella somma ai fini TFR. In altre situazioni può essere il giudice ovvero la giurisprudenza ad aiutare nell'individuazione della natura di una determinata erogazione.

Elementi non occasionali:

Sono computabili nella retribuzione i compensi considerati “omogenei” al rapporto di lavoro anche se non corrisposti con continuità (Cass. N. 2254 del 24.2.1993), fra cui a titolo esemplificativo:

· Paga base, contingenza, scatti di anzianità, contingenza, superminimi, indennità funzione quadro, laurea e diploma;

· Indennità mensa;

· alloggio (Cass. N. 4197 del 12.4.1995);

· Premio finale, premio di fedeltà e premio annuo;

· Indennità mansione, per lavori disagiati, maneggio denaro;

· Straordinario continuativo;

· Mensilità aggiuntive;

· Maggiorazione lavoro notturno (Cass. 13440/99);

· Utile di cottimo;

· Ex festività 4 novembre spostata in domenica (anche 2 giugno fino al 2000);

· festività infrasettimanali retribuite;

· Indennità sostitutiva preavviso (Cass. n. 2114 del 22.2.1993);

· Festività non fruite cadute di domenica (Cass. n. 11448 del 19.6.2004);

· Indennità sostitutiva delle ferie avente carattere retributivo (mancata fruizione non imputabile al datore di lavoro, per esempio in caso di cessazione del rapporto di lavoro) (Cass. n. 11960 del 8.6.2005).

· Indennità di trasferta e rimborso spese a piè di lista, indennità chilometrica se corrisposta occasionalmente (Cass. n. 96 del 8.1.2003);

· Straordinario non continuativo.



Elementi occasionali.

In genere, non possono essere computati nella retribuzione utile i seguenti compensi:

· Festività lavorata e festività con riposo compensativo (maggiorazione);

· Premio anzianità;

· Una tantum;

· Indennità sostitutiva delle ferie avente carattere risarcitorio (inadempimento del datore di lavoro) (Cass. n. 11960/2005);

· Indennità sostitutiva per ferie non fruite e compenso per permessi retribuiti non fruiti;

· Indennità di trasferta e rimborso spese a piè di lista, indennità chilometrica se corrisposta occasionalmente (Cass. n. 96 del 8.1.2003);

Sospensione dal lavoro.

Nel caso di sospensione dal lavoro durante l’anno per una delle cause indicate di seguito, per il calcolo della retribuzione deve essere computato l’equivalente della retribuzione cui avrebbe avuto diritto il lavoratore in caso di normale svolgimento del rapporto (art. 2120, c. 3, Codice Civile):

· Infortunio e malattia professionale;

· Malattia;

· Donazione sangue;

· Gravidanza e puerperio;

· Cassa integrazione ordinaria e straordinaria;

· Contratti di solidarietà.

· Il servizio militare di leva non è considerato periodo utile (Corte Costituz. n. 491 del 7.11.1989) a differenza del periodo di richiamo alle armi.

Alcuni casi concreti

Frazione di mese inferiore ai 15 giorni.

Nel caso di assunzione o cessazione del rapporto di lavoro nel corso dell’anno, si considerano come mesi lavorati per intero le frazioni lavorate nel mese pari o superiori a 15 giorni. I contratti collettivi possono prevedere la commutabilità anche di ulteriori periodi di assenza, ma non peggiorare la previsione della legge. La Cassazione, con la sentenza n. 13934 del 19 settembre 2002, ha ritenuto che la norma si debba intendere nel senso che "la legge non fissa il principio che non si tenga conto delle frazioni di mese inferiore a 15 giorni ma solo quello dell'arrotondamento al mese delle frazioni pari o superiori a 15 giorni". Questa interpretazione verrebbe ad essere suffragata nella formulazione letterale utilizzata dal legislatore nell’art. 2120 c.c., nella parte in cui si stabilisce che il t.f.r. è dovuto « in ogni caso », volendo così riconoscere detto trattamento a favore di tutti i prestatori di lavoro subordinato. Ulteriore rafforzamento sulla computabilità delle frazioni inferiori ai 15 giorni è dato da quanto disposto dal dlgs n. 368/2001, il quale, oltre ad attribuire « pari dignità sociale » ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato ed a quelli a termine, ha, comunque, confermato la « spettanza » del t.f.r. ai prestatori di lavoro con contratto a tempo determinato, proprio in virtù del diritto da parte di questi ultimi al tfr da calcolarsi in base alla proporzionalità alle frazioni di anno di attività di lavoro prestata. Inoltre, il fattore tempo non ha alcun rilievo, come invece avveniva nell’ambito del vecchio calcolo della remota indennità di anzianità, dovendosi invece considerare unicamente la retribuzione percepita dal lavoratore, la quale ben può essere frazionata in giorni. Pertanto, è da condividere l’orientamento più recente della Cassazione (supportato anche da diverse pronunce di merito) che considera le frazioni di mese inferiori ai 15 giorni utili ai fini del calcolo della retribuzione valida per il Tfr.

Auto e benefit aziendali

Con sentenza n. 16636 del 1° ottobre 2012, la Cassazione ha affermato che anche l'auto aziendale rientra nel calcolo del Tfr. La Suprema Corte chiarisce che la nozione di retribuzione contenuta nell'articolo 2120 c.c. è onnicomprensiva per cui deve ricomprendere "tutti gli emolumenti che trovano la loro causa tipica e normale nel rapporto di lavoro cui sono istituzionalmente connessi". Per cui nel Tfr va ricompreso "il controvalore dell’uso dell’autovettura di proprietà del datore di lavoro utilizzata anche per motivi personali, le relative spese di assicurazione e accessorie nonché le polizze assicurative stipulate dal datore di lavoro a favore del lavoratore". Se l’auto è data in uso promiscuo , il valore normale riconosciuto congruo è, in genere, quello delle tariffe Aci da applicare ai chilometri percorsi privatamente dal lavoratore. Rileviamo che per prassi, viene comunemente adottato il valore convenzionale stabilito fiscalmente pari a 4.500 km/anno, ma non tutti giudici ritengono non corretto tale valore forfetario a cui fare riferimento.

Indennità di trasferta

Nell'indennità di trasferta prevista in favore del lavoratore che si trasferisce in un luogo di lavoro diverso da quello abituale possono ravvisarsi due componenti, quella risarcitoria e quella residuale retributiva, la cui rispettiva determinazione quantitativa (rilevante nella specie al fine di stabilirne la computabilità per il calcolo dell'indennità di anzianità e del trattamento di fine rapporto), discende dalla interpretazione delle specifiche pattuizioni contrattuali, essendo quindi devoluta al giudice di merito. (Nella specie, la S.C. ha cassato, con rinvio, la sentenza della corte territoriale che, nell'escludere l'indennità di trasferta dal computo dell'indennità di anzianità e del Tfr sul rilievo della sua natura risarcitoria, aveva omesso di accertare se in essa fosse presente, e in quale percentuale, anche una componente retributiva, tanto più che la stessa indennità risultava essere connessa all'impossibilità per i lavoratori operanti fuori dalla cinta daziaria del Comune di Roma di usufruire del servizio (Cass. civ. Sez. lavoro, 17 febbraio 2010, n. 3684). Inoltre, se la trasferta rappresenta una modalità abituale della prestazione, l’indennità entra a far parte della base di calcolo del Tfr. In caso contrario deve essere esclusa, anche se erogata per trasferte o missioni protrattesi per un apprezzabile lasso di tempo ma con carattere occasionale ed episodico (Cass. 14 luglio 1988 n. 4621 - Cass. 13 aprile 1985 n. 2449).

Lavoro straordinario In giurisprudenza è uniforme l’orientamento secondo cui il compenso per lavoro straordinario prestato non occasionalmente debba essere computato nel trattamento di fine rapporto (Cfr. Cass. 21 novembre 1998 n. 11815; Cass. 22 gennaio 1998 n. 596; Cass. 15 dicembre 1990 n. 11945). La sentenza del 23 settembre 2011, n. 19402 ha precisato che l’ affermazione della continuita' del lavoro straordinario reso per un certo tempo non puo' fondarsi sull'accertamento di una semplice reiterazione delle prestazioni eccedenti l'orario normale, potendo essa trovare giustificazione solo allorche' il carattere costante e sistematico di queste ultime venga individuato nella duplice condizione di una verificata regolarita' o frequenza o periodicita' della prestazione e di una ragionata esclusione dei caratteri di occasionalita', transitorieta' o saltuarieta'. In particolare, si e' aggiunto, occorre misurare la riconoscibilita' di regolarita', frequenza o anche mera periodicita' di una prestazione eccedente l'orario ordinario con riguardo al suo ripetersi con costanza ed uniformita' "per un apprezzabile periodo di tempo", cosi' da divenire abituale ne quadro dell'organizzazione del lavoro (vedi anche Cass. 21 giugno 2006, n. 14325; Cass. 14 ottobre 2004 n. 20278; Cass. 10 marzo 2005 n. 5234; Cass. 11 marzo 2005 n. 5362). Per tale ragione, perché venga computato nel calcolo del Tfr, il lavoro straordinario deve essere costante e sistematico per un apprezzabile periodo di tempo.

Alloggio

Per la Cassazione è riconosciuta dalla giurisprudenza la computabilità nel T.F.R. del valore corrispondente all'utilizzo dell'alloggio per esigenze personali e familiari del lavoratore (Cass. 22 giugno 2004 n. 11644), con qualunque modalità:

- tramite erogazione di un contributo mensile (Cass. 2 marzo 2005 n. 4341);

- comodato gratuito o pagamento del canone di locazione da parte del datore di lavoro (Cass. 22 aprile 1987 n. 3914), sempre che tale liberalità sia connessa al rapporto di lavoro e alla posizione lavorativa del dipendente (Cass. 22 giugno 2004 n. 11644). Mensa e buoni pasto

Salvo diversa disposizione contrattuale, il controvalore del servizio mensa e degli eventuali ticket restaurant non rientrano nel computo del Tfr Cass. S.U. 1° aprile 1993 n. 3888. Segnaliamo comunque la presenza di una giurisprudenza minoritaria che fa concorrere al tfr solo il valore dell’indennità sostitutiva di mensa (Cass. 14/11/2001 n. 14198).

Il calcolo del TFR

Il trattamento di fine rapporto si calcola sommando per ciascun anno di lavoro una quota pari all'importo della retribuzione annua divisa per 13,5. . Esempio: per una retribuzione mensile pari a 1000 € la quota di TFR annuale accantonata è 1037 € rivalutata annualmente. Tenendo conto che di questa quota una parte, lo 0,5%, va all'Inps come contributo per le prestazioni pensionistiche, la quota accantonata annualmente in termini percentuali è pari al 6,91% della retribuzione utile [100 : (13,5-0,5)]. Per legge (Codice Civile) esso subisce ogni anno una rivalutazione pari all’ 1.5% ( tasso fisso) +75% dell'aumento dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, accertato dall'ISTAT (tasso variabile). Per i rapporti che si risolvono nel corso dell’anno il tasso dell’1,5% viene riproporzionato alle frazioni di anno lavorate (0,125% per ogni mese).

Si segnala questo aspetto in quanto il calcolo della rivalutazione del TFR potrebbe essere un ulteriore elemento di complessità di cui tener conto in sede di calcolo in sede di responsabilità solidale.

Cocopro

Le attività elementari nel lavoro a progetto

Temistocle Bussino



Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali attraverso la pubblicazione della circolare n. 29 dell`11 dicembre 2012 e` intervenuto per fornire alcuni fondamentali chiarimenti interpretativi al proprio personale ispettivo, finalizzati ad agevolare un comportamento uniforme di valutazione nello svolgimento dell`attivita` di vigilanza nei confronti delle collaborazioni coordinate e continuative a progetto, alla luce delle novita` introdotte dai commi 23, 24 e 25, dell`articolo 1, della Riforma del Lavoro (Legge n. 92/2012). In particolare, la Circolare evidenzia i requisiti, che se non rispettati, possono rappresentare elementi validi per il mancato riconoscimento della collaborazione a progetto e la conseguente costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che si riepilogano nei seguenti punti:

- Progetti specifici. La legge dice: “I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa devono essere riconducibili ad uno o più progetti specifici”. Quindi non più a “programmi di lavoro o fase di esso”.

- Risultato finale. Il progetto deve essere “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale”. Quindi è stato rafforzato l’ottenimento di uno specifico obiettivo, ossia la realizzazione del progetto ben individuabile.

- Descrizione del progetto. Su queste basi, mentre in precedenza era richiesta una indicazione del progetto, ora è necessaria una “descrizione del progetto con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire”. Questo porterà necessariamente ad maggiore puntualità nella descrizione dei diversi passaggi del progetto e alla chiara individuazione di un risultato finale ben definito e dettagliato.

- Non coincidenza con oggetto sociale del committente. Il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente. Quindi viene rafforzata la “specificità” del progetto. La circolare sottolinea che il progetto, pur potendo rientrare "nel ciclo produttivo dell'impresa" e insistere in attività che rappresentano il c.d. core business aziendale, deve essere caratterizzato da una autonomia di contenuti e obiettivi. Tale requisito va dunque inteso come identificabilità di specifici contenuti e obiettivi, anche qualora gli stessi si traducano in attività rientranti nell'oggetto sociale del committente. Il contenuto del progetto deve necessariamente indicare l'attività prestata dal collaboratore in relazione alla quale si attende il raggiungimento di un determinato risultato obiettivamente verificabile. Il risultato finale che si attende dalla attività prestata del collaboratore costituisce parte integrante del progetto e allo stesso tempo elemento necessario ai fini della sua validità. Risulta imprescindibile, dunque, l'individuazione di un "risultato finale" che sia idoneo a realizzare uno specifico e circoscritto interesse del committente.

- Compiti non meramente esecutivi e ripetitivi. Il progetto “non può comportare lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, che possono essere individuati dai contratti collettivi”. Quindi il collaboratore a progetto deve lavorare con autonomia, anche operativa. Per "meramente esecutivi" si intendono le attivita` di semplice attuazione richieste di volta in volta dal committente senza che il collaboratore possa aver alcun margine di autonomia, per "meramente ripetitivi" si intendono le attivita` elementari che non necessitano per loro stessa natura di specifiche indicazioni operative fornite di volta in volta dal committente. Oggi la legge esclude dal lavoro a progetto questo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi e aggiunge: che possano essere individuati dai contratti collettivi stipulati, ecc…, con questo significando che là dove esistano nella contrattazione collettiva figure identificate in qualità di lavoro subordinato che svolgano questo tipo di compiti meramente esecutivi o ripetitivi, l’utilizzo di lavoratori non può avvenire che in qualità di lavoratori dipendenti. Su questo punto la circolare è abbastanza dettagliata, addentrandosi anche a definire le caratteristiche del lavoro esecutivo, che consiste nella mera attuazione di quanto impartito, anche di volta in volta, dal committente, senza alcun margine di autonomia operativa anche da parte del collaboratore; e del lavoro ripetitivo, caratterizzato da attività elementari che non richiedono, per la loro stessa natura, nonché per il contenuto delle mansioni nelle quali si articolano, specifiche indicazioni di carattere operativo fornite di volta in volta dal committente. Si indicano come tipiche di queste attività le prestazioni dei camerieri o dei baristi. Ma l’individuazione non è così pacifica come può sembrare a prima vista e la stessa circolare lo ammette, avvertendo che l’intervento delle parti sociali, che è meramente facoltativo, non può essere considerato esaustivo ai fini di una individuazione corretta delle attività non consentite; ed in questo campo rimane salva una motivata discrezionalità da parte dell’attività ispettiva per quanto riguarda l’applicazione della presunzione. Per ciò che concerne invece l’enunciazione di attività che difficilmente possano essere ritenute inquadrabili nell’ambito di un rapporto di collaborazione a progetto, la circolare si rifà a precedenti orientamenti, in particolare alle attività già identificate nella circolare n. 4/2008, con l’aggiunta di magazzinieri, addetti alla somministrazione di cibi o bevande (ma erano già presenti baristi e camerieri) ed agli addetti alle prestazioni nell’ambito dei call center per servizi cosiddetti in bound.

La black list delle attività lavorative Proprio su quest’ultimo aspetto il Ministero a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, sulla base di orientamenti giurisprudenziali già esistenti, elenca quelle attività difficilmente inquadrabili nell’ambito di un genuino rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, ancorché astrattamente riconducibili ad altri rapporti di lavoro di natura autonoma”. Le attività riconducibili nell’alveo della subordinazione (ossia considerate rapporto di lavoro dipendente), e quindi per le quali il contratto a progetto è vietato, riguardano i seguenti soggetti e le seguenti mansioni:


  • gli addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici;
  • gli addetti alle agenzie ippiche;
  • gli addetti alle pulizie;
  • gli autisti e gli autotrasportatori;
  • i baristi ed i camerieri;
  • i commessi e gli addetti alle vendite;
  • i custodi ed i portieri;
  • le estetiste ed i parrucchieri;
  • i facchini;
  • gli istruttori di autoscuola;
  • i letturisti di contatori;
  • i magazzinieri;
  • i manutentori;
  • i muratori e le altre qualifiche operaie dell’edilizia;
  • i piloti e gli assistenti di volo;
  • i prestatori di manodopera nel settore agricolo;
  • gli addetti alle attività di segreteria ed i terminalisti;
  • gli addetti alla somministrazione di cibi o bevande;
  • le prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound.


Si tratta di elenco molto composito, che va dagli addetti alle pulizie, ai commessi alle vendite, ai letturisti di contatori fino ai piloti e agli assistenti di volo. Ciò che queste figure hanno in comune non va tanto ricercato nel contenuto delle prestazioni, che sono le più diverse, quanto nel fatto che sono state oggetto di esame da parte dei giudici, i quali hanno in generale osservato che le prestazioni lavorative rese dai soggetti interessati non sono le più convincenti ad essere oggetto di un contratto a progetto. La casistica è vasta. La stessa identica attività può teoricamente essere svolta come lavoro a progetto o come lavoro subordinato, in quanto il contenuto della prestazione non è l’elemento che li distingue. Quindi il personale ispettivo non può trarre una conclusione automatica di non genuinità di un rapporto a progetto instaurato ad esempio con una estetista. Certo qualche dubbio può sorgere, ma occorre verificare nel concreto che proprio quello non sia una eccezione alla regola e, per continuare con l’esempio, l’estetista non sia stata chiamata a collaborare per una occasione specifica e delimitata nel tempo quale potrebbe essere quella di un concorso di bellezza o di un evento comunque particolare ed evidenziare le caratteristiche dell’autonomia nonché della presenza di un progetto. Pertanto, rispetto alle figure elencate il personale ispettivo, essendo difficilmente riconducibile la relativa attività ad un progetto specifico finalizzato ad un autonomo risultato obiettivamente verificabile, procederà a ricondurre nell’alveo della subordinazione gli eventuali rapporti posti in essere, adattando i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale (costituzione di un rapporto di lavoro di natura subordinata ed a tempo indeterminato).



La rassegna delle massime

La circolare, oltre a tener conto di valutazioni statistiche ha tenuto decisamente conto degli orientamenti giurisprudenziali della Cassazione. Riportiamo alcune massime relative alle attività facenti parte della black list della circolare ministeriale:



Addetti alle agenzia ippiche - Sentenza n.7025/2005

In materia di qualificazione giuridica del rapporto di personale addetto alla ricezione di scommesse in sala corse, elementi di fatto dai quali è desumibile la natura subordinata del rapporto sono l' inserimento del lavoratore nella organizzazione aziendale con prestazione di sole energie lavorative corrispondenti all' attività dell' impresa, nel rispetto di un orario di lavoro strettamente collegato con gli orari di apertura e chiusura delle sale corse, nonché il pagamento della retribuzione non in base al risultato raggiunto, ma secondo le ore prestate nei diversi turni, mentre resta irrilevante la discontinuità della prestazione che non sia dovuta ad una libera scelta del lavoratore, ma risponda, al contrario, a criteri di distribuzione del lavoro in turni prefissati dal datore e con modalità di erogazione prestabilite in considerazione delle esigenze aziendali.

Addetti alla segreteria Sentenza n. 8678/2006

Nell’ambito di una simulazione di un rapporto di autonoma collaborazione societaria la prova testimoniale può essere utilizzata per l’accertamento dell’effettivo rapporto di lavoro di natura subordinata al di là dei limiti previsti dal codice civile. Di fatto, la lavoratrice , essendo stata nominata nel C.d.A di una società al fine di mascherare il vero rapporto di lavoro, svolgeva mansioni meramente esecutive. In sostanza svolgeva elementari compiti di segreteria consistenti in attività di centralinista, addetta alla spedizione dei fax, comunicazioni relative alla mensa, incasso dei corrispettivi dei pasti, distribuzione gettoni per bibite, addetta alla distribuzione materiali di cancelleria, aggiornamento rubrica telefonica interna, supporto segreteria

Addetti alle pulizie - Sentenza n. 3042/2006

Nel caso in esame il carattere elementare della prestazione non esigeva precisi ordini e direttive, oltre al tempo ed al luogo (pulizie) della relativa esecuzione. L'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo, esercitato dal datore si risolve in una predisposizione; il datore predispone, in una misura maggiore o minore (a seconda del livello più o meno elevato del lavoro), i luoghi, i tempi e le modalità della prestazione (che è pertanto eterodiretta); e l'oggetto della prestazione in tal modo predisposta si risolve nelle operae (lavoro, nel senso puro del termine, in quanto svincolato da interna ragione e finalità).

Autisti - Sentenza n. 7310/2002

La S.C. ha confermato la natura subordinata del rapporto di lavoro di un soggetto assunto come autista con mezzo proprio addetto alla consegna di prodotti farmaceutici, ed al quale, dopo alcuni anni, era stato conferito dalla stessa società sua datrice di lavoro l’incarico di procacciatore d’affari senza che, tuttavia, mutassero le mansioni a lui affidate nonostante l’attribuzione allo stesso di un mandato di rappresentanza "per una zona limitata e per un ristretto numero di clienti". Il soggetto era privo di una sia pur minima organizzazione imprenditoriale, oltre che di autonomia nella scelta dei tempi e dei modi di esercizio dell’attività, consistente nella consegna di medicinali secondo un itinerario sostanzialmente imposto dall’imprenditore, nonchè della rinuncia impostagli a servirsi della collaborazione di altri soggetti, indice di una ingerenza inconciliabile con l’autonomia organizzativa della gestione imprenditoriale dell’agente.

Braccianti agricoli - Sentenza n. 2171/2000

Nelle situazioni ove, per la particolare attività (come in alcune forme di lavoro in agricoltura), alcuni aspetti (orari, mansioni) non assumono natura rigida, il mero inserimento del lavoratore nell’azienda non è parametro di qualificazione della subordinazione, né può costituire elemento esclusivo per dedurre la subordinazione stessa; il parametro di qualificazione si risolve, quindi, necessariamente negli elementi (non diversamente deducibili) dei quali l’inserimento è mera conseguenza: la sussistenza e la permanenza dell’obbligo del lavoratore di mantenere a disposizione del datore l’attività lavorativa nella sua indifferenziata materialità (come operae) e la sussistenza e la permanenza del suo conseguente assoggettamento al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro stesso.

Camerieri - Sentenza n. 4015/2002 e Sentenza n. 7304/1999 Una cameriera ed un pizzaiolo che abbiano lavorato quotidianamente in un bar ristorante per dieci ore al giorno devono ritenersi lavoratori subordinati anche se non vi sia prova del loro assoggettamento alle disposizioni del titolare. L’assoggettamento al potere datoriale, che caratterizza la subordinazione, appare implicitamente e necessariamente presupposto sia dall’accertato inserimento dei lavoratori nella realtà aziendale, sia dall’espletamento delle mansioni di cameriera e di pizzaiolo svolte con continuità e nel rispetto di un orario di lavoro, nell’ambito di una struttura di ristorazione gestita dalla titolare.

La scarsità e saltuarietà delle prestazioni rese da un lavoratore come cameriere ai tavoli di un ristorante, così come il fatto che sia lo stesso ad offrire la propria opera (della quale il titolare del ristorante può o meno avvalersi), non costituiscono elementi idonei a qualificare come autonomo il rapporto di lavoro intercorso tra le parti.

Commessi e addetti alle vendite - Sentenza n. 18692/2007

Vi sono volte in cui la realtà aziendale ed il processo tecnologico applicato al servizio richiesto impone che l’ attività lavorativa venga svolta con modalità che presuppongono la natura subordinata del rapporto, indipendentemente dalla definizione del rapporto. Inoltre, svolgere l’attività nella struttura dell’impresa con materiali ed attrezzature proprie della stessa costituisce un ulteriore e significativo indizio di subordinazione.

Custodi Sentenza n. 1756/1995

Nella specie la S.C. ha annullato per difetto di motivazione la sentenza con cui il giudice di merito, in riferimento ad una attività di custode, nonché di gestore del bar e del posto telefonico pubblico per occasionali avventori, in un' azienda alberghiera aveva escluso il carattere subordinato del rapporto senza considerare: la periodicità della retribuzione - indice tra i più rilevanti anche se non sufficiente -; l' essere completamente a carico del datore di lavoro, l' organizzazione dei mezzi materiali ed il rischio economico dell' attività; la continuità della prestazione, nel senso della persistenza nel tempo della disponibilità del lavoratore verso il datore di lavoro, e l' assenza di contemporanei obblighi di prestazione verso altri datori di lavoro;il fatto che dipendeva dalla natura dell' attività l' assenza di rigidi orari di lavoro e di dettagliate istruzioni impartite dall' imprenditore.

Estetiste - Sentenza n. 3959/1998

La subordinazione non è esclusa dallo svolgimento delle mansioni con un certo grado di autonomia professionale . La Suprema Corte ha confermato la sentenza del Tribunale, osservando che nel caso in esame, trattandosi di attività di tipo professionale, nella quale si verifica un’attenuazione dell’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, la subordinazione deve essere accertata in base ad elementi indiziari, complementari e sussidiari, i quali, anche se privi di valore decisivo se individualmente considerati, ben possono essere valutati globalmente per stabilire la natura subordinata del rapporto: obbligo di rispetto di un orario, con il dovere di restare nel centro anche in assenza di clienti; obbligo di ricevere appuntamenti, di riscuotere il corrispettivo delle prestazioni e di versarlo alla titolare; compenso fisso mensile senza alcuna assunzione di rischio; impiego dei mezzi messi a disposizione dal centro, con inserimento nella organizzazione dello stesso. I1 fatto che le lavoratrici non solo effettuassero i trattamenti, ma dessero consigli sul tipo di creme e di applicazioni, e decidessero le modalità applicative dei trattamenti stessi, non vale - ha affermato la Corte - a collocare il rapporto controverso nell'area del rapporto di lavoro autonomo, trattandosi di modalità operative tipiche della attività di estetista, modalità di per sé "neutre" in relazione alla natura autonoma o subordinata del rapporto.

Facchini - Sentenza n. 6926/2000

Anche l’attività di facchinaggio, benché possa avere la natura giuridica di un’attività autonoma ai sensi della l. 3 maggio 1955 n. 407, avente un’efficacia espressamente fatta salva dall’art. 5 l. n. 1369 del 1960, va considerata come prestazione di lavoro subordinato quando si svolga in regime di subordinazione, e in tal caso l’eventuale interposizione di un organismo associativo, quale una cooperativa, deve ritenersi illegittima e inefficace a norma dell’art. 1 citata l. n. 1369 del 1960.

Istruttori di autoscuola- Sentenza n. 12955/1995

Premesso che l’attività di insegnamento teorico-pratico in una autoscuola può mutuare, in astratto, indifferentemente le caratteristiche strutturali della prestazione d’opera o del lavoro subordinato, la suprema corte ha condiviso l’orientamento dei giudici del merito che avevano fatto ricorso agli elementi sussidiari di supporto per la qualificazione del rapporto come subordinato in presenza di elementi essenziali a tal fine inidonei. Operatore di call center - Sentenza n. 4476/2012 Nel caso di specie, pertanto, correttamente la corte territoriale aveva rilevato i requisiti tipici della subordinazione ed aveva conseguentemente riconosciuto l'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato alle dipendenze della società di call center, dal momento che: - l'attività della ricorrente si era svolta all'interno dei locali aziendali e la lavoratrice aveva dovuto coordinarsi con le esigenze organizzative aziendali e, quindi, era pienamente inserita nell'organizzazione della società, senza alcun rischio d'impresa. Inoltre, il controllo informatico dell'attività del telefonista in tutti i suoi aspetti e la vigilanza dell'assistente di sala avevano mostrato l'esistenza di un controllo particolarmente accentuato ed invasivo, non usuale neppure per la maggior parte dei rapporti subordinati esistenti e, quindi, inconciliabile con il rapporto autonomo.